È data per imminente la convocazione di un tavolo governativo con le parti sociali per affrontare il nodo della disdetta del Contratto Nazionale dei lavoratori bancari, ma la FABI non si fida e chiede precise garanzie. “Ci giunge voce di una prossima convocazione delle parti sociali ad opera del Ministro del Lavoro Giovannini in merito alla disdetta del Contratto Nazionale di categoria da parte di ABI e rispetto alla situazione del “Fondo di solidarietà”, l’ammortizzatore sociale del settore del credito”, annuncia Lando Maria Sileoni, Segretario Generale della FABI, il sindacato di maggioranza dei lavoratori bancari. |
“Dopo i recenti provvedimenti legislativi in materia fiscale e finanziaria che hanno, di fatto, aiutato le banche, ci aspettiamo da parte del Governo una posizione super partes a tutela delle lavoratrici e dei lavoratori bancari”, conclude Sileoni.
LE TAPPE DELLA DISDETTA.
La disdetta del Contratto Nazionale è stata presentata dall’ABI ai sindacati lo scorso 16 settembre, con 9 mesi d’anticipo rispetto alla scadenza naturale del contratto fissata al 30 giugno 2014.
Gli effetti della disdetta sui 309mila lavoratori bancari.
La disdetta fa saltare la clausola di ultrattività del Contratto stesso.
Ciò significa che dal primo luglio vengono meno tutti i diritti e le tutele previste per i lavoratori bancari (orari di lavoro, inquadramenti, trattamenti integrativi, ecc.).
La disdetta renderà anche più facile per le banche licenziare, perché verranno meno tutte quelle norme di garanzia sulla gestione condivisa delle tensioni occupazionali.
La mobilitazione dei lavoratori:
Contro la disdetta i sindacati hanno indetto unitariamente uno sciopero nazionale il 31 ottobre, (il primo da 13 anni a questa parte) a cui ha aderito il 90% dei lavoratori, con oltre il 92% di filiali chiuse in tutta Italia.
È stata inoltre proclamato il blocco delle trattative nelle banche e un ulteriore pacchetto di 15 ore di sciopero da realizzare entro febbraio.
Perché l’ABI ha disdettato il Contratto.
L’ABI sostiene che il Contratto Nazionale dei lavoratori bancari non è più economicamente sostenibile, anche alla luce dei 133 miliardi di sofferenze accumulati dal sistema.
Perché la FABI ritiene la posizione dell’ABI inaccettabile:
Perché si vogliono scaricare i 133 miliardi di sofferenze sulle spalle dei lavoratori.
Ma queste sofferenze in realtà sono figlie di una cattiva gestione del credito, concesso agli amici degli amici dalle Direzioni Generali e dai CDA, quindi dai piani alti delle banche.
I lavoratori non hanno alcuna responsabilità e sono anche loro vittime, insieme alla piccole medie imprese, di un sistema creditizio che non funziona, più vicino alle clientele e ai grandi gruppi finanziari che alle famiglie e al territorio.
Il re è nudo.
Nel suo ultimo video, pubblicato sulla tv del sindacato fabitv.it, il Segretario Generale della FABI Sileoni ha dimostrato, dati alla mano, che l’84% dei crediti in sofferenza sono stati deliberati proprio da quelle Direzioni Generali e dai quei Consigli d’Amministrazione, che adesso, per rimediare al danno, vogliono servire “la beffa” ai lavoratori: spogliarli, con un solo colpo di mano, di tutti i loro diritti e delle tutele, faticosamente conquistate negli anni.
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Il provvedimento, anelato dai soci più intransigenti di Palazzo Altieri, sarebbe stato ieri alla firma del ministro del Lavoro, Enrico Giovannini. La convocazione cadrebbe in un momento in cui difficilmente l'esecutivo potrà restare sordo alle richieste dell'associazione presieduta da Antonio Patuelli. Soprattutto dopo la stangata Ires assestata sul settore per rimediare al mancato gettito dell'Imu. Senza contare che fanno già parte della «partita doppia» sia la rivalutazione delle quote di Bankitalia, che concede fiato al patrimonio degli istituti, sia l'allentamento fiscale previsto dalla legge di Stabilità sui 130 miliardi di crediti in sofferenza.
I sindacati temono quindi la trappola. Perché la mediazione del governo offrirebbe all'associazione di Palazzo Altieri l'occasione per cercare di mettere in mobilità i 30-35mila lavoratori del settore considerati da tempo in eccesso sui 303mila complessivi. In sostanza gli addetti over 55, già oggetto di attenzione da parte dell'Abi che in alcuni documenti interni giudicava «insostenibile» l'attuale costo del lavoro. La soluzione per espellere il personale sarebbe ricorrere all'indennità di disoccupazione, chiedendo all'esecutivo di stornare una parte dei 200 milioni che l'industria versa ogni anno allo Stato per la Cassa integrazione, senza però utilizzarla perché c'è il Fondo esuberi. L'alternativa è che, davanti al muro sindacale, la lobby delle banche cerchi la sponda dell'esecutivo per ottenere il congelamento per due anni della parte economica del contratto stesso.
Ecco perché la Fabi di Lando Sileoni si è da subito opposta a qualsiasi intervento del premier Enrico Letta: «Dopo i provvedimenti legislativi in materia fiscale e finanziaria che hanno aiutato le banche, ci aspettiamo da parte dell'esecutivo una posizione super-partes».
Malgrado la serrata di fine ottobre e la minaccia di altri 15 ore di sciopero, le posizioni restano infatti molto distanti con l'Abi «indisponibile» a cancellare la disdetta: a condurre le trattative è il vicepresidente Francesco Micheli e uno dei nodi irrisolti è la «ultra-attività» del contratto, cioè il fatto che sia applicato anche dopo la scadenza.
La possibile convocazione da parte di Giovannini segue l'incontro «informale» avuto dalle parti sociali il 20 novembre con il presidente della Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano. Con un dato politico rilevante: a fare da tramite al summit con Damiano - come si può ricavare dallo scambio di mail tra segreterie - è stato il capo della Fisac, Agostino Megale. I due esponenti sono accomunati da un'antica militanza nell'ala «riformista» della Cgil, che li aveva anche portati al contrasto con il vertice confederale dell'epoca. Ebbene sarebbe stato sempre Megale a chiedere per primo a Damiano, davanti agli altri sindacalisti, un aiuto per riscrivere il contratto di categoria. Lo stesso Megale, solo due giorni =dopo (era il 22 novembre), ha però dovuto accettare gli «ordini» impartiti dal direttivo nazionale della stessa Fisac-Cgil che, con sei astensioni, ha riassunto in tre pagine i punti ritenuti irrinunciabili della futura piattaforma del settore del credito.
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«Se la convocazione rappresenta la solita manovra per giustificare e legittimare il comportamento inaccettabile dell'Abi», ha aggiunto Sileoni, «la Fabi si opporrà con tutte le forze. Dopo i recenti provvedimenti legislativi in materia fiscale e finanziaria che hanno, di fatto, aiutato le banche, ci aspettiamo da parte del governo una posizione super partes a tutela delle lavoratrici e dei lavoratori bancari». La vertenza in corso sul contratto nazionale riguarda 309 mila lavoratori bancari e ha già portato a uno sciopero nazionale il 31 ottobre, (il primo da 13 anni a questa parte) al quale, secondo le fonti sindacali, ha aderito il 90% dei lavoratori, con oltre il 92% di filiali chiuse in tutta Italia. (riproduzione riservata)
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"Ci giunge voce di una prossima convocazione delle parti sociali ad opera del ministro in merito alla disdetta del contratto nazionale di categoria da parte di Abi e rispetto alla situazione del Fondo di solidarietà, l'ammortizzatore sociale del settore del credito", afferma Lando Sileoni, segretario generale della Fabi.
L'intervento del governo la dice lunga sulla difficoltà di trovare un accordo. I sindacati sono forti di uno sciopero che ha mostrato la compattezza dei lavoratori. Lo scorso 31 ottobre sono rimaste chiude 9 filiali su 10. E le organizzazioni hanno già minacciato di incrociare le braccia per altre 15 ore entro febbraio.
L'Abi non ha fatto una piega: a poche ore dallo sciopero, il vicepresidente dell'associazione, Francesco Micheli, aveva sì sottolineato di essere "disponibile al confronto". Ma, di fatto, non aveva modificato la posizione iniziale: "Il contratto sia dal punto di vista normativo, sia dal punto di vista economico, è considerato unanimemente insostenibile".
Il ministro Giovannini si era detto sicuro di poter "trovare un'intesa che salvaguardi sia l'esigenza delle banche, sia la tutela dei posti di lavoro". Da quel giorno è passato un mese. L'intesa pare lontana e il Giovannini si sarebbe convinto a intervenire in prima persona. Il suo non sarà un compito facile. Anche perché i sindacati non nascondono le proprie perplessità: "Se la convocazione rappresenta la solita manovra per giustificare e legittimare il comportamento inaccettabile dell'Abi - afferma Sileoni - la Fabi si opporrà con tutte le forze. Dopo i recenti provvedimenti legislativi in materia fiscale e finanziaria che hanno, di fatto, aiutato le banche, ci aspettiamo da parte del Governo una posizione super partes a tutela delle lavoratrici e dei lavoratori bancari".