«Ex popolari, Atlante al fianco dello Stato Il Tesoro convochi le grandi banche»
Sileoni (Fabi): «Ricapitalizzazione, solo un intervento pubblico-privato va oltre gli ostacoli europei»
VENEZIA «Il ministro dell’Economia dovrebbe convocare rapidamente intorno a un tavolo i grandi gruppi bancari. Per dare nuove risorse al fondo Atlante e permettergli di affiancare lo Stato nella ricapitalizzazione delle banche venete, risolvendo i problemi con l’Europa». Le richieste di Bce sempre più esigenti sull’aumento di capitale al servizio della fusione di Popolare di Vicenza e Veneto Banca. E gli ostacoli sempre più alti dell’Unione europea sull’uso dei fondi statali. Risultato: il percorso verso la fusione delle due banche in mano al fondo Atlante si fa sempre più difficile, mettendo a rischio lo stesso salvataggio delle due ex popolari. Lando Sileoni, segretario generale della Fabi, il sindacato autonomo dei bancari, la maggiore tra le sigle del settore, entra a pié pari in questa complicata fase, all’indomani del vertice al ministero dell’Economia, che ha stabilito, nei confronti dell’Europa, la linea della difesa del piano industriale unico che punta alla fusione tra Bpvi e Veneto Banca. Per evitare di rimettere in discussione tutto e che i tempi si dilatino. Moltiplicando i rischi che dall’Europa, alla fine, arrivi una spinta verso la risoluzione di una delle due banche.
Segretario, lei vede davvero la tentazione che l’Europa bastoni l’Italia attraverso il caso delle due ex popolari venete? «La tentazione c’è sempre stata e la manifesteranno in qualche modo anche adesso. Per questo bisogna far quadrato. L’Europa non guarda con occhi benevoli alle vicende bancarie italiane. Il problema dobbiamo risolvercelo noi».
Dove il noi è rivolto a chi? «A dipendenti e sindacati, alla politica regionale e nazionale, ai grandi gruppi bancari e al fondo Atlante».
Dunque lei teme che l’incrocio tra richieste di capitale sempre più alte di Bce e divieti selettivi dell’Ue all’uso dei fondi statali nella ricapitalizzazione apra rischi di risoluzione per le banche venete. «I fattori preliminari da chiarire sono due. Il primo: è fondamentale che si proceda con un solo piano industriale e non due. Io spero che ci venga presentato tra fine maggio e giugno, per affrontare i nodi conseguenti. Il secondo: la risoluzione di una delle due banche sarebbe una catastrofe per territorio, dipendenti e clienti. Ma anche per i sistemi bancario italiano ed europeo; lo stesso governo non ne uscirebbe bene. Questo dovrebbe convincere i gruppi bancari in salute ad intervenire con uno sforzo ulteriore in Atlante».
Lei dice: l’unico modo per evitare i rischi dei divieti che potrebbero saltar fuori sull’uso dei fondi statali è affiancare allo Stato un nuovo intervento di Atlante. E dare subito un messaggio che si sta attrezzando questa soluzione. «Esatto. Lo sanno tutti - grandi banche come politica, di governo e di opposizione -. qual è la situazione e i rischi che si corrono. Ma tutti hanno paura di fare la prima mossa. Il sistema deve però reagire: il ministero dell’Economia deve prendere con convinzione l’iniziativa di convocare i grandi gruppi bancari e Atlante per affrontare il problema del rifinanziamento del fondo. È solo un problema politico: le risorse le grandi banche le hanno».
Perché dovrebbero rimettere soldi in Atlante? Un anno dopo c’è molta freddezza. «Sì, ma la situazione cambia ogni 15-20 giorni. E per le grandi banche tra il mettere soldi e il non farlo, facendo esplodere la situazione e pagarne le conseguenze, è più conveniente la prima soluzione. Il toro va preso per le corna, una scelta va fatta con decisione. Se continua così la situazione potrebbe precipitare». Quindi? «Di fronte a Ue e Bce la soluzione che risolverebbe tutti i problemi è un convinto intervento combinato pubblico-privato, tra Stato e grandi gruppi bancari in sostegno ad Atlante, che non è detto debba rimanere in maggioranza. L’ulteriore sforzo sarà ricompensato».
Come ne è certo? «L’intervento di Stato e privati non sarebbe gratuito. Fabrizio Viola e Cristiano Carrus sono due ottimi professionisti. Se si danno loro gli strumenti, tra 2-3 anni il valore di una banca ripulita e rilanciata sarebbe ben più alto di adesso e troverebbe acquirenti. E gli investimenti rientrerebbero».
Nel caso di Atlante vede una ricapitalizzazione per intervenire comunque o solo se serve, dedicandosi in caso contrario ad esempio alle sofferenze? «Meglio entrare comunque».
E l’offerta di rimborso ai soci? Possibile una proroga? «Sarebbe fondamentale chiudere il 22 marzo. Poi una proroga limitata per raggiungere l’obiettivo ci può stare. Ma il fattore tempo complica tutto: per la banca, per i dipendenti, i clienti e il rapporto a tre governo- Ue-Bce». E la questione esuberi? «I numeri che circolano non sono ufficiali e Viola non ne ha ancora fatti. Quando avremo il piano industriale metteremo le carte in tavola. È chiaro che la condizione indispensabile per avere il nostro appoggio resta che non si parli di licenziamenti».
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