Se il Somarello avesse soltanto saputo il perché di quel girotondo, la sua quotidiana fatica sarebbe stata meno dura. Gli era toccato trascinare quel peso sin da quando ricordava di esistere. Non si rendeva conto di girare intorno a quel pozzo, e neppure di camminare su una strada senza meta né termine, per ritrovarsi ogni sera, stupidamente, al medesimo punto di partenza... |
Ma naturalmente, come asino non aveva il diritto di discutere, di adoperare il proprio cervello come se fosse un essere umano. Gli esseri umani sanno il perché delle cose. E all’asino spettava badare al proprio lavoro senza discutere. Lui non pretendeva di discutere. Tuttavia, se una volta ogni tanto, al termine della faticosa giornata, un qualche gentile essere umano, magari anche solo un bambino, gli si fosse accostato per dirgli: “Bravo il mio ciuchino, hai lavorato bene, sono contento di te”. Se una mano gentile, anche solo di un bambino, avesse accarezzato quella sua buffa testa, quella testa grigia dalle lunghe orecchie ispide, la fatica sarebbe parsa addolcita. Ma idee del genere non balenano mai nei cervelli degli esseri umani, Gli esseri umani dicono di rado quando sono contenti di qualcuno. Si esprimono solo molto chiaramente quando non sono contenti. E d’altronde, la testa di un somaro non è fra le cose che attirano le loro carezze. Su questo, l’asino si trovava d’accordo. Neppure a lui piaceva la propria figura ( gli era capitato di scorgerla una volta, specchiandosi nel pozzo). A lui piacevano gli agnelli candidi che sgambettavano nei prati. Avrebbe voluto essere come loro. Be’, non lo era altro che un vecchio somaro, grigio e frusto, con un buffo desiderio nel suo grande cuore: il desiderio di un’amicizia umana, di potersi rendere utile all’uomo, di scaldare col fiato uno dei loro piccolini. Curiosa bestia per davvero: le uniche creature che si curavano di avvicinare la sua sparuta figura, errano i mosconi. Speravano di cavarne fuori qualcosa, qualche goccia di sangue, magari. Ad ogni modo, l’asino stava giungendo alla fine ormai: la fine della lunghissima strada, la fine del lunghissimo viaggio. Le forze di colpo gli vennero meno. Diede un solo altissimo raglio e stramazzò al suolo. Il girotondo senza meta era terminato.
Ma ascolta! Una voce raggiunge adesso il suo orecchio. Una voce mai udita sinora. Non la solita voce che gli ingiungeva di camminare più svelto. La voce che sempre aveva desiderato sentire, ora si rivolgeva a lui, proprio a lui: “Bravo, mio somarello, creaturina mia” diceva la Voce. “Hai lavorato bene, sono contento di te.”
Una sterminata prateria si stendeva davanti ai suoi occhi. Miglia e miglia di folta erba verde, con caprette e agnellini che vi sgambettavano allegri. Avevano l’aria felice, come se quella meravigliosa condizione non dovesse aver termine mai. Il suo struggimento, quello di tutta la sua vita, si sprigionava finalmente come uno zampillo liberato dal tappo. Era giovane e vispo come un puledro, si rotolava e sgambettava su prati verdi e rigogliosi. Il suo girotondo senza meta era finito.
Ed ecco! Una gentile manina ora gli accarezzava la testa. Un Bambino, un tenero e amoroso Bambino umano, gli sorrideva.
“Non ti importa che io sia così bruto?” gli chiese l’Asino.
“Non ti piacerei di più se fossi bianco come un agnellino?”
“Oh no”, sorrise il Bambino. “A Me piaci cosi come sei, con le tue orecchie lunghe e il tuo pelo ispido. Sei l’emblema di tre cose a me molto care: la Pazienza, la Povertà, l’Umiltà”.