In seguito ad un reclamo da parte di un cliente della banca, viene consegnata a un collega che svolge il ruolo di gestore privati, una lettera di contestazione, la prima dopo 35 anni di limpida e onorata carriera. Nella lettera vengono comunicati al collega gravi irregolarità a lui riconducibili relativamente ad una fideiussione di 800.000 euro con la quale due fratelli si sono costituiti fideiussori di una società. |
Viene dunque contestato al collega di aver apposto nello spazio riservato al visto per autenticità la sua sigla, dichiarando e di conseguenza legalizzando un palese falso. La banca, dopo aver esposto le sue ragioni, e precisando di volersi rivalere sul collega per i danni causati dal venir meno della garanzia, lo invita a far pervenire entro 5 giorni dalla consegna della lettera le sue memorie difensive in assenza delle quali può ritenersi libera di adottare il provvedimento disciplinare più idoneo ai sensi del vigente CCNL.
Il collega, alla luce della lettera, si sente decisamente affranto dato che da una parte la contestazione arriva come un fulmine a ciel sereno dopo ben 35 anni di onorata carriera senza mai un rimprovero ma, al contrario, solo numerose lodi per il lavoro svolto. Dall’altra parte si sente tradito anche da quei clienti che aveva gestito per molto tempo e che in un certo senso lo aveva fatto sentire come facente parte di una grande famiglia.
Con l'aiuto di un Rappresentante Sindacale della FABI il collega chiede un'audizione con i referenti dell'Ufficio Risorse Umane dell'Istituto di Credito per il quale lavora, in quanto vuole chiaramente chiarire tutto con l’obiettivo di provare la sua assoluta buona fede e che il suo comportamento non voleva cagionare alcun danno alla banca.
Nel corso dell’audizione il collega ammette che la firma non era stata apposta in sua presenza.
Aveva infatti avuto la presunzione di credere che uno dei firmatari, così come concordato, avesse portato il documento al fratello e avesse raccolto realmente la sua firma.
Il collega era infatti a conoscenza del delicato stato di salute del proprio cliente e sapeva quale disagio avrebbe creato obbligarlo a recarsi in filiale per la firma: era costretto sulla sedia a rotelle a causa della rottura del femore. Ripensando meglio a quel periodo, il collega ricorda che in quelle settimane il cliente era ricoverato in una clinica a ben oltre 150 km dalla propria abitazione in quanto stava affrontando un percorso di recupero funzionale. Il cliente avrebbe dovuto apporre due firme e in effetti una è risultata autentica e l'altra falsa, presumibilmente fatta dal fratello. Si può solo immaginare che il fratello si sia dimenticato di far apporre una delle due firme e abbia pensato di non fare nulla di grave falsificandone lui una delle due. Un comportamento che mai è poi mai il collega avrebbe potuto immaginare tanta era la confidenza e i buoni rapporti che si erano instaurati con questi due clienti.
Chiarito che nulla debba essere addebitato al collega circa le spese sostenute per la perizia grafologica, che l’azienda ha deciso di disporre di sua iniziativa, il collega evidenzia la palese assenza del requisito dell’immediatezza della contestazione: i fatti risalgono infatti a sei anni prima e il reclamo da parte degli eredi è arrivato sul tavolo del legale dell'Istituto di Credito ben tre anni dopo e solo ora si è deciso di contestare quanto è accaduto.
Il danno che poi la banca reclama circa il venir meno della fideiussione non può che addebitarsi all'istituto stesso dato che la decisione di rinunciare alla garanzia a suo tempo raccolta è avvenuto in via del tutto arbitraria e autonoma e senza l’intervento del giudice.
Alla luce delle controdeduzioni e quindi dei fatti emersi durante l'audizione l’azienda decide di archiviare il caso senza dar luogo ad alcun provvedimento disciplinare a carico del collega.