Nel 2012 viene inviata alla Direzione centrale di un noto istituto di credito una raccomandata da parte di un importante studio legale nella quale si chiedono spiegazioni sui rapporti che un cliente extracomunitario aveva in essere con una filiale della banca. La questione verte principalmente attorno a un finanziamento deliberato, erogato e utilizzato a quanto pare senza che il cliente ne sapesse nulla. |
Due anni più tardi, dopo aver verificato che un finanziamento per acquisto di mobili di € 10.000,00 è stato concesso con delibera nelle facoltà della filiale, la somma accreditata sul conto corrente e dopo una settimana trasferita sul conto corrente del datore di lavoro del cliente stesso, al responsabile della filiale viene consegnata una lettera di contestazione. Nella lettera la banca sostiene che le irregolarità da imputare al Direttore sono differenti e in palese violazione della normativa aziendale: dati inseriti nella pratica di finanziamento non completamente rispondenti al vero, tali da modificare la facoltà di delibera e di far sì che fosse in capo al responsabile stesso anziché agli organi superiori. Inoltre per l’azienda la finalità dell’operazione è diversa dall'effettivo uso poi concretizzato e anche in questo caso si insiste nel sostenere che diversamente le facoltà di delibera sarebbero state in capo ad altri. Viene contestato che l’effettivo beneficiario del finanziamento sia un'altra persona, nel caso specifico il datore di lavoro del cliente. Ultimo, ma sicuramente non meno importante, si contesta che nella pratica non sono presenti né preventivi di spesa né giustificativi di spesa. Come di consueto la lettera si conclude con l'invito nei confronti del collega di far pervenire alle risorse umane entro cinque giorni le sue giustificazioni difensive precisando che, trascorso il suddetto periodo senza che siano pervenute, l'azienda si ritiene libera di adottare il provvedimento disciplinare opportuno.
Con l'aiuto del proprio rappresentante sindacale il collega predispone un dettagliato memoriale su quanto accaduto seppur ricordare fatti accaduti dopo tanti anni non sia proprio facile. Innanzitutto si evidenzia che il cliente è stato presentato alla filiale dal proprio titolare di lavoro. Quest’ultimo risulta intestatario di rapporti da molto tempo, ancor prima che il collega venisse nominato preposto di quella filiale. Era ed è tuttora assolutamente conosciuto da tutti come persona regolare, precisa e completamente integrata nel tessuto sociale. Nelle sue attività lavorano molti suoi connazionali ai quali fornisce assistenza e le prime necessità, come ad esempio l'alloggio, per facilitarne e velocizzarne l’integrazione. E’ probabile che le somme di denaro erogate siano poi state trasferite sul conto corrente del datore di lavoro proprio perché questi aveva anticipato e sostenuto le prime spese, locazione e arredamento dell’appartamento, per conto del proprio dipendente. Il cliente aveva aperto il conto corrente e aveva autorizzato addirittura il proprio datore di lavoro ad operare sul suo rapporto. Viene poi evidenziato che era lo stesso datore di lavoro che, in qualità di delegato e anche perché garante del finanziamento, molte volte aveva provveduto a effettuare versamenti per coprire eventuali scoperti di conto corrente e per evitare che eventuali rate andassero insolute e il cliente potesse avere delle ripercussioni negative. Pur ammettendo che avrebbe potuto svolgere verifiche più approfondite e chiedere maggiore documentazione per comprendere meglio la destinazione del finanziamento, il collega fa notare la sua completa buona fede data anche dalla fiducia riposta nel gestore a cui era affidata la gestione del rapporto. Inoltre non erano mai emerse criticità e sul conto corrente lo stipendio, sufficiente a garantire la sostenibilità della rata, è sempre risultato regolarmente accreditato.
Solo a distanza di molto tempo la filiale era venuta a conoscenza di disaccordi tra le parti e che erano questi i reali motivi per cui il cliente aveva incaricato un legale per sostenere di essere stato truffato e che la filiale non aveva fatto altro che attivarsi per ottenere la sistemazione del debito e la conseguente chiusura del rapporto.
La banca, preso atto delle giustificazioni, comunica la decisione di adottatare nei confronti del collega il provvedimento disciplinare del "rimprovero scritto", ai sensi dell'art. 44, lett "b" del CCNL, che il collega accetta con serenità nonostante l’amarezza, dopo tanti anni di buon lavoro, di essere stato oggetto di un simile trattamento.