Uno stimato collega riceve una corposa lettera di contestazione relativa alla sua attività di Gestore Privati. L’azienda gli riconosce di aver ottenuto la piena fiducia dei clienti da lui gestiti, ma gli contesta di aver spesso fornito loro consigli di investimento finalizzati a un suo presunto personale vantaggio connesso al raggiungimento dei budget commerciali che gli vengono di volta in volta assegnati... |
La lettera di contestazione elenca tutta una serie di episodi e di operazioni ritenute non corrette.
L’azienda come di consueto, conclude la lettera dichiarando che il collega ha un periodo di cinque giorni per esercitare i suoi diritti di difesa così come previsto dalle vigenti normative.
Stante la gravità dei capi di contestazione, l’azienda si riserva ogni azione risarcitoria nei confronti del collega. Cautelativamente ne dispone la sospensione transitoria, in attesa di eventuali ulteriori contestazioni, in presenza di altre irregolarità.
Il collega, assistito dal suo rappresentante sindacale, ammette di avere volontariamente e incautamente ripianato le perdite sui titoli che i suoi clienti avevano subito, ma spiega che per farlo sono state utilizzate disponibilità proprie, ottenute persino tramite la vendita di propri beni personali.
In ogni caso respinge l’accusa di aver prelevato fraudolentemente denaro dai conti dei clienti.
Dichiara inoltre che, mai e poi mai, avrebbe assicurato il buon esito degli investimenti perché è solito spiegare in modo puntuale e dettagliato le caratteristiche e i rischi dei prodotti consigliati.
Svolgendo da più di vent’anni la sua attività commerciale conferma il suo ottimo rapporto con la clientela, alla quale consiglia anzitutto i prodotti che la banca lo invita a collocare, ma respinge con fermezza l’accusa di carpire la fiducia dei clienti stessi a proprio vantaggio.
Il collega conclude ammettendo di non essere a conoscenza che la formalizzazione esterna alla banca delle proposte di investimento comporti la violazione delle vigenti normative perché, a suo dire, nell’Area dove lavora questa modalità operativa è ritenuta prassi apprezzata, anzi stimolata. Confessa di aver attraversato un periodo di forte stress che lo ha portato a “lavorare male”, con grandi sensi di colpa e dichiara che il tutto sia da ricondurre all’enorme peso dei risultati richiesti dall’azienda con modalità spesso discutibili, risultati oltretutto difficili da conseguire a causa di un’agguerrita concorrenza da parte delle altre banche.
A seguito delle risposte ai fatti contestati, qualche mese dopo la banca, preso atto di quanto dichiarato, comunica al collega la “sospensione dal servizio e dal trattamento economico” per un periodo di dieci giorni, ai sensi dell’art. 44, lett “c” del vigente CCNL e ne dispone il trasferimento presso un’altra unità produttiva con altro tipo di mansione.
Il collega, dopo qualche riflessione, preferisce accettare la sanzione comminata e, di fatto, il sottostante demansionamento e rinuncia così all’impugnazione del provvedimento per chiudere definitivamente il procedimento disciplinare aperto a suo carico.