Prima o poi si sapeva che quel giorno sarebbe arrivato: dopo ben dieci anni era ovvio che il Responsabile della Filiale prima o poi sarebbe stato trasferito. Un mercoledì il Direttore viene infatti convocato dal Responsabile delle Risorse Umane per la comunicazione del trasferimento a una filiale storica della banca, più grande e strutturata rispetto a quella presieduta per tanto tempo. |
Passano solo un paio di settimane e la collega si vede recapitare una lettera di contestazione con la quale l’azienda chiede spiegazioni in merito a quegli accessi alla banca dati ritenuti illegittimi e non funzionali/necessari per lo svolgimento del suo ruolo di P.M.I. La lettera si conclude come di consueto invitando la collega a fornire le controdeduzioni del caso entro i consueti giorni di tempo. In assenza di una risposta l'azienda dichiara di ritenersi libera di adottare il provvedimento disciplinare ritenuto più adeguato nel rispetto delle normative del CCNL.
La collega risponde immediatamente e, imbarazzata, non può che ammettere di avere interrogato le posizioni delle aziende elencate nella lettera di contestazione. Dichiara che è la prima volta che accade e che mai più lo avrebbe rifatto. Nella sua lettera difensiva più volte si scusa e più volte rimarca che la sua attività professionale è sempre stata encomiabile: ha sempre raggiunto tutti i budget che le sono stati assegnati. L’azienda decide però di licenziare la collega per giusta causa. La collega, ritenendo il provvedimento esagerato, conferisce incarico al proprio legale per la difesa del suo posto di lavoro, ma il licenziamento viene confermato nei tre gradi di giudizio. L'utilizzo vietato delle credenziali del precedente Responsabile di Filiale per accedere alla procedura per interrogare tutte quelle posizioni attraverso la banca dati a pagamento, allo scopo di estrarre informazioni su specifici soggetti e imprese per esigenze non attinenti al servizio, costituisce giustificato motivo soggettivo di licenziamento del dipendente. Questa è la conclusione a cui è giunta la Corte di Cassazione sulla scorta del principio per cui il giustificato motivo soggettivo e la giusta causa di licenziamento costituiscono una nozione di contenuto limitato e con formula generica, la quale, proprio allo scopo di adeguare la portata percettiva della norma a una realtà articolata e mutevole nel tempo, richiede di essere specificata in sede di interpretazione. La Cassazione precisa che i fatti addebitati sul piano disciplinare giustificano l'irrogazione del licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo se rivestono il carattere di grave negazione degli obblighi contrattuali inerenti al rapporto di lavoro e, per tale ragione, ledono irreparabilmente il vincolo fiduciario tra azienda e dipendente.
A tale proposito la valutazione sulla gravità della condotta deve essere operata, secondo la Corte, sulla base degli aspetti concreti relativi alla natura e alla qualità del rapporto di lavoro, alla posizione che in esso rivestono le parti al grado di affidamento richiesto al dipendente, ai pregiudizi arrecati. Dopo il ricorso in appello, la Corte di Cassazione conferma che l'utilizzo da parte dell'impiegata dell'istituto di credito della password del precedente direttore e gli accessi protratti per mesi alla banca dati per svolgere verifiche su persone e imprese non attinenti alle proprie mansioni costituiscono grave negazione delle obbligazioni contrattuali e legittimano il licenziamento per giustificato motivo soggettivo.